Ho volato tra l’Europa e Bogota 3 volte nella mia vita, la prima proprio con Lufthansa in prima classe nel 2013 e poi nel 2016 con la Turkish Airlines, che operava il trangolare Istanbul – Bogotà – Panama City. Non posso certo definirmi un habituè della rotta, ma ho in qualche modo sviluppato un minimo di esperienza nel gestire il fuso orario e il mio corpo su questo genere di itinerario.
Lasciata la BMW del Drive Now al parcheggio di Linate quando ancora il sole non era sorto, nell’aerostazione c’era già un certo fermento. Check-in rapido ed efficiente – come da abitudine dei tedeschi – con tuttavia un piccolo problema, ossia l’impossibilità di stampare la carta di imbarco per il mio terzo volo, il Bogotà – San Paolo, probabilmente perché operato da Avianca Brasil, che è sì del gruppo Avianca, ma non ne costituisce il main line.
Superati i controlli, raggiungo la lounge per essere co-protagonista di una scena a dir poco comica: sala chiusa (perché apre alle 5.30) ed una pletora di passeggeri in trepidante attesa del fatidico orario. Una volta entrati è il momento dell’assalto alla diligenza, con un’asiatica che si fa subito notare distruggendo un’intera pila di piattini da caffè: prima di essere sgamata, di soppiatto torna al suo posto fingendo di non saperne proprio nulla.
L’A320 crucco imbarca dal gate A20, dove lo staff fa energicamente rispettare la corsia prioritaria. Raggiunta la porta dell’aeromobile, l’equipaggio sfodera uno smagliante sorriso e indica la direzione: nonostante sia tra i primi a salire a bordo, molte cappelliere sono già piene e devo ricorrere all’aiuto del purser per il mio trolley. L’atmosfera è cupa, i toni del grigio e del blu insieme sono troppo scuri, anche perché Lufthansa sta definitivamente rimuovendo quel poco di giallo che esisteva a bordo. Il sedile non è nulla di che, mentre lo spazio per le gambe è discreto. Come tutti gli altri, anche Lufthansa cannibalizza il posto centrale in business class per garantire un comfort maggiore. Terminato l’imbarco (il volo è strazeppo, nonostante sia domenica e l’orario a dir poco irrituale), muoviamo dal parcheggio: ufficialmente saremmo i primi a decollare, ma l’Easyjet per Gatwick ci passa avanti, complice qualche minuto di ritardo da parte nostra.
Il decollo non offre viste di alcunchè perché le nubi basse tolgono qualsiasi poesia al panorama. Diligentemente l’equipaggio distribuisce la colazione: affettato misto, formaggi, pane, burro, marmellata, frullato al passion fruit e uno yogurt al lampone con mandorle. Non si può dire che non sia variegata (il volo è brevissimo peraltro), decisamente meglio di Alitalia su un volo intercontinentale dove non va oltre una brioche!
Peccato, ed è l’unica critica, che non ci sia alcunchè di caldo, ma i crucchi sono perdonati perché la distanza da coprire è davvero mimimale.
In men che non si dica siamo già in discesa e nella pioggia di novembre tocchiamo terra a Francoforte in clamoroso anticipo. I tedeschi sanno come gestirsi: il traffico è ben organizzato e bastano due minuti per raggiungere il gate mentre nei sessanta secondi successivi vengono aperte le porte ed incomincia lo sbarco: uguale uguale a Malpensa.
Visto il tempo che avanza (il volo per Bogotà parte tra oltre 5 ore) decido di sgranchirmi le gambe e raggiungere la senator lounge al B43, assai più lontana dal mio gate rispetto ad altre, ma unanimemente considerata di qualità superiore. La cosa brutta delle lounge Lufthansa a Francoforte è che si tratta letteralmente di porti di mare con un via vai di gente impressionante e un rumore di fondo a tratti fastidioso.
Recentemente è stata integrata anche una sezione SPA dove tuttavia i trattamenti non sono gratuiti, anzi: i prezzi sono decisamente proibitivi.
La zona relax, offre divanetti e poltroncine da cui osservare il tarmac, dove il rutilante susseguirsi di partenze e arrivi non trova soluzione di continuità: in assoluto una delle viste più scoppiettanti che abbia sperimentato.